
La nostra esistenza iperconnessa è una fonte inesauribile di luminose opportunità. Non starò qui a elencarle: esistono gli spot Apple per questo.
Certe volte, però, Internet mi fa venire voglia di gridare fortissimo, armarmi del mio vecchio 3310 – peraltro ancora carico – e fuggire là dove i meme non possano raggiungermi.
Le ragioni sono molteplici, ne ho selezionate alcune.
BOOKING E L’ETERNO RITORNO
È chiaro. Alla base della strategia di comunicazione di Booking c’è la teoria dell’eterno ritorno di Nietzche. “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora innumerevoli volte”, sembrano profetizzare gli onnipresenti banner e le copiosissime newsletter.
Hai appena visitato New York? Allora forse può piacerti New York.
Sei stata in Provenza per la fioritura della lavanda? Torna a controllare il raccolto.
Vuoi un’idea per un weekend fuori porta? C’è il tuo pianerottolo.
Amici di Booking, ho un consiglio: provate con l’approccio “vertigine della possibilità”, in stile Kierkegaard. Proponetemi di scegliere tra luoghi incantevoli che non ho ancora visitato, stupitemi, confondetemi, corteggiatemi. Ho due figli piccoli e in ferie ritornerò eternamente nella casa di famiglia in Liguria. Almeno voi, fatemi sognare.
LA SCIENZA CHE DICE E NON DICE
Il web ha una relazione complicata con la scienza. Le nostre bacheche pullulano di opinioni su medicina e fisica quantistica dispensate da starlette decadute, idraulici, designer d’interni, cantanti, tassisti, mio cugino.
Gli articoli scientifici formato social appartengono perlopiù a due filoni spassosamente opposti: ci sono quelli del genere “Lo dice la scienza” e quelli del tipo “Ciò che la scienza non vi dice”.
La regola è questa: se il tema è di straordinaria inutilità, la news appartiene alla prima categoria e trasuda fiducia nel sapere empirico. “Chi è disordinato ha una mente geniale, lo dice la scienza”. “Se hai le lentiggini parli meglio l’inglese, lo dice la scienza”. “I primogeniti sono più forti a burraco, lo dice la scienza”.
Quando invece la disquisizione tocca nozioni specialistiche e profondamente complesse, allora temibili professoroni ci stanno nascondendo la verità su nanoparticelle, vaccini e terremoti. Fuck the sisma.
I POSER
Hanno guardaroba da 500.000 like, figli sovraesposti che poi correggono con Photoshop e il sogno di un filtro Instagram definitivo da utilizzare nel mondo reale – volete mettere affrontare un colloquio di lavoro con su un bel Valencia?
Per loro la forma è tutto, e con forma intendo il taglio quadrato delle fotografie social.
Alcuni soffrono di una paresi da duckface: poco male, non servono vocali aperte per commentare “Top!”
Un tempo si è lottato per l’immaginazione al potere. I poser le hanno preferito l’impaginazione.
GLI EPITETI SUPERSIMPA
Il dileggio online non conosce limiti: è multipiattaforma e cross-generazionale. Si insultano gli oppositori politici, le squadre avversarie, le donne brutte, quelle troppo belle, gli immigrati, le mamme che non fanno come dico io, i vegani, gli altri, tutti gli altri, sempre.
Tralasciando i connotati più inquietanti del fenomeno, vorrei concentrarmi su un particolare risvolto linguistico: l’abuso dei soprannomi col-gioco-di-parole-tutto-da-ridere.
Utonti, Pidioti, Grullini, Renzie, Di Mail: c’è una lista infinita di epiteti lisi che girano di commento in commento, consumandosi come quei calzini che finiscono per far prudere il tallone sulla suola. Sono scorciatoie: tentativi di screditare senza passare dai contenuti, con l’aggravante del conformismo. Per me sono tutti, invariabilmente pronunciati dal mio compagno delle medie con molta peluria sotto il naso e poco senso dell’umorismo. Io leggo “Italioti”, ma sento “gne-gne”.