
Avevo un sogno piccolo. Era entusiasta, elettrico. Gli ripetevo “Hai tempo. Calmati!”. Ma scalpitava perché voleva realizzarsi.
Avevo un sogno piccolo che mi faceva ridere, e mentre sghignazzavo non lo lasciavo crescere.
A prenderli sul serio, i sogni, poi rischi di deluderli. Così ho lasciato perdere.
Avevo un sogno piccolo, un “io-vorrei” minuscolo, di quelli che non stai nemmeno a raccontare, un sogno che puoi rimandare.
L’avevo e poi l’ho perso. Sgusciato dalla borsa. Forse sfuggito dall’agenda gonfia. Smarrito nel tragitto tra lavoro e casa. Evaporato in coda in autostrada.
L’ho perso e mi mancava il tempo per sentire che mancava, un sogno trasparente ma importante che manco io sapevo fosse aria.
È ritornato poi, incazzato nero. Chiedeva senza posa “e tu dov’eri?”. Io lo guardavo e mi riconoscevo, come in un vecchio scatto del liceo.
Avevo un sogno piccolo, ma poi s’è fatto grande. E adesso che è cresciuto, non mi conviene ridere. Tocca ascoltarlo bene e tirarmi su le maniche.