Umano è l’errore, la paura che strizza le viscere, il dolore che spezza.
Umano è l’orizzonte minuto, il piccolo rancore che monta e fa schiuma, la pancia trafitta da brama e da fame.
Il sangue, è umano. La merda, la bava, il livore.
“Restiamo umani”, dicono, ma raramente siamo stati più umani di ora. Le senti la puzza di umori e la rumorosa accozzaglia di espressioni istintuali?
“Restiamo umani” è lo slogan, ma “restare”, così, è un verbo fiacco: che ce ne facciamo di un’azione che non sposta le cose, di un invito alla stasi?
Non restiamo umani, per carità, facciamo di meglio. Cambiamo, umani. Voliamo, umani.
Come bambini che vogliono tutto, ma imparano a spartire la vita.
Nota: so bene che il primo a scrivere “restiamo umani” fu Vittorio Arrigoni. Uno che a quelle parole ha provato a dare autenticità e vita. Non bastano gli hashtag per elevarci dal fango e a volte fingo di dimenticarlo, sentendomi nei Giusti tra quelli seduti dietro a uno schermo. Questo il senso della mia riflessione.