
Le parole non sono immobili: rotolano sulle lingue, si impregnano del contesto su cui planano, cambiano colore. Le parole sono imprevedibili.
Le parole non sono vuote: nemmeno quelle apparecchiate per convenienza o improvvisate dentro un imbarazzo. Tutte dicono, anche ciò che dissimulano.
Le parole non sono limpide: le macchiamo con le nostre velleità, le usuriamo come bandiere lasciate troppo al sole. Ci arrivano distorte dal rumore di fondo del pregiudizio.
Le parole non sono deboli: “addio” inaugura distanze, “chissà” socchiude la speranza, “però” è un’inversione a u, “noi” avvicina o divide di netto.
Le parole non sono esclusive: lo diventano nelle teste, nei proclami, nei programmi. Vibrano quando appartengono a tutti, splendono se danzano sulla scena.