Pulizie di quarantena: ovvero come ho provato a difendermi dall’ansia

Nell’ultimo mese non mi sono iscritta a un videocorso di tip-tap, non ho ripreso a suonare il pianoforte, non ho rispolverato il mio tedesco, non ho intagliato suppellettili.
Nell’ultimo mese non ho incontrato folgorazioni sulla via tra cucina e divano, non ho ampliato la mia nozione del mondo e degli uomini, non ho rinvigorito alcun nobile convincimento.
Nell’ultimo mese non ho panificato, incredibile a dirsi, ma in compenso ho sanificato. Ho sanificato parecchio.

Ho cominciato con le superfici e le mani, da brava. Ho poi proseguito coi pensieri, che erano stati contaminati da un male sconosciuto e potente, da un’ansia senza rimedio.
Ci sono scivolata dentro piano.
Ero tra quelli che hanno iniziato ad allarmarsi moderatamente già dal caso di Codogno, un po’ perché moderatamente allarmati erano i divulgatori che seguo, un po’ per innata ipocondria, un po’ perché conosco e amo persone “a rischio”.
Sta di fatto che il lockdown ufficiale è arrivato quando già da qualche giorno vagavo per casa con lo sguardo attonito del chihuahua, in preda alla tachicardia.

Nella settimana dei cori dal balcone, la mia gola si è esibita in un nodo stretto e costante, culminato con il primo attacco di panico della mia vita. Il fiato che manca, detestabile analogia con il virus, la testa che sfuma in una paura sorda.

Ho reagito proclamando l’inizio delle Pulizie di Quarantena, con un contro-decreto che, al pari di quelli di Conte, ha fissato come obiettivo la sopravvivenza. Mia e dei miei coinquilini.

Dispacci apocalittici? Spruzzata di alcol.
Fake news complottiste? Passata di acqua ossigenata.
Rabbia da social? Fiotti di Lysoform.
Video lacrimevoli? Manata di Amuchina.

Nell’ultimo mese, in definitiva, mi sono protetta. Ho affrontato in ciabatte una quotidianità fatta di piccole cose, lasciando che a tenermi a galla fossero pochi dati di realtà, sempre quelli, senza merlettature.
Ho due bambini di quattro anni piuttosto spassosi. Sufficientemente grandi per intrattenersi con profitto, abbastanza piccoli da non capire fino in fondo cosa stia accadendo.
Ho una casa accogliente dove concedermi anche la solitudine.
Ho una connessione che funziona discretamente.
Ho un lavoro – mio Dio – ho un lavoro.
Ho un uomo con cui ruzzolare sul letto e ridere nel disagio.
Ho la sceneggiatura originale di Fleabag e tanto tempo per leggere.
Ho amici per giocare a Pictionary da remoto.

Ho i miei dati di realtà. Ho le mie quotidiane fortune.

Fuori dalla porta sta accadendo qualcosa di tragico: non è il momento delle epifanie, almeno per me.
È un tempo essenziale, fatto di poco. Ma in quel poco, ora, io esisto.

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